Per il caso in specie qui tratterò del rapporto di Francis Bacon(1909-1992) con il disegno desumibile dalle sue stesse parole
– “Non faccio schizzi, o disegni. Procedo” .
– “Amo i disegni, ma non ne faccio”.
– “…non ho mai disegnato: tuttavia, la mia pittura è molto disegnata”.
Sono affermazioni che paiono nette, ma come vedremo dotate anche di una qualche ambiguità. Infatti Bacon sembra espellere dal proprio mondo artistico il disegno, eppure è stata la sua prima espressione creativa e che negli anni ’30 lo aveva pure introdotto nel mondo del lavoro come designer d’interni.
Dal momento in cui Bacon cominciò ad imporsi come pittore non si conoscono suoi disegni o meglio si pensava che non ne esistessero e invece…
Dopo pochi mesi dalla morte dell’artista, avvenuta il 28 aprile 1992, nel dicembre dello stesso anno ad un’asta compare un bozzetto che viene identificato come preparatorio per lo “Studio di nudo” del 1954.
Nella retrospettiva postuma, “Francis Bacon” del giugno del 1996, tenutasi a Parigi al Centre Georges Pompidou e curata da David Sylvester, considerato il maggior interprete dell’artista anglo-irlandese, vengono esposte alcune opere sotto forma di schizzi, gouaches, annotazioni su fotografie, anche se nel Catalogo si sottolinea come non siano esteticamente e tecnicamente di facile collocazione rispetto alle opere pittoriche.
Nel 1997 la vedova del poeta e saggista Stephen Spender, un anno dopo la morte del marito, vende alcuni disegni di piccolo formato alla Tate Gallery, dono degli anni ’50 di Francis Bacon all’amico Stephen.
Il 14 febbraio 1999 viene inaugurata a Londra dalla Tate Gallery la mostra “Francis Bacon Working on Paper” curata da Mattehew Gale con altri acquisti fatti dalla stessa Tate da fondi provenienti dalla National Art Collections Fund; dalla collezione del poeta inglese Stephen Spender, altri ancora da Paul Danquahl, avvocato, attore e consulente finanziario con il quale Bacon aveva condiviso nel 1959 l’appartamento.
La Tate Gallery, la preferita da Bacon, entra in gioco con tutto il suo peso e altrettanto fa David Sylvester perché, nel saggio introduttivo al Catalogo candidamente confessa di aver sempre saputo che Francis Bacon disegnava, anzi disegnava molto aggiungendo di avere consapevolmente mentito per assecondare il desiderio dell’artista. Quindi Sylvester ammette per la prima volta che sul disegno Bacon non aveva detto tutta la verità, le persone che gli erano più vicine lo sapevano e quanto si conosceva era solo la punta di un iceberg.
Sempre il 14 febbraio 1999 Barry Joule, vicino di casa e tuttofare di Bacon, rende pubblico un corpus di reperti grafici composto di circa 1200 unità recuperati nell’atelier di Londra dell’artista costituito da fotografie e pagine di libri ritoccate, macchiate, arabescate, nonché schizzi e abbozzi. Joule durante un’intervista televisiva ricorda che Bacon, malato e anziano, gli ordinò di sgomberare il materiale cartaceo dall’atelier di Reece Mews con la frase “Tu sai cosa farne, vero?”. Frase sibillina, tipicamente baconiana come se si volesse lasciare in mano ad altri un cerino acceso e Barry Joule, appunto, nulla ha distrutto.
Dopo controversie legali tra Berry Joule e i legali che gestivano per conto dell’Estate il patrimonio dell’artista, gli oltre 1200 pezzi provenienti dallo studio di Bacon vengono acquisiti dalla Tate Gallery sotto forma di donazione, per cui l’accettazione del materiale ad oggi non indica riconoscimento di autenticità bensì solo “opere attribuite a Francis Bacon”.
A fronte di queste varie materializzazioni grafiche le recensioni degli esperti si sono presentate con diverse sfaccettature ora in modo elogiativo, ora con tante riserve anche se qui a mio parere subentra una prima ambiguità di tipo terminologico che invece chiariscono il critico d’arte italiano Giorgio Soavi e il giornalista Alessio Altichieri in un articolo sul quotidiano “ Corriere della Sera” del 26 marzo 1999.
“I disegni in realtà non sono disegni, ma schizzi improvvisati, cinque o sei pennellate ad olio su un foglio di carta.” Anzi sottolinea Soavi “…non mettono i brividi nemmeno alle mosche “.
(figure 1, 2, 3)
Appunto, smettiamo di chiamare disegni quelli che sono solo schizzi e abbozzi se non scarabocchi.
E, allora, dove sono i disegni di Bacon che David Sylvester indica come parte sommersa dell’iceberg “Bacon”; che il biografo Michael Peppiat ha visto e che dichiara che non tutti sono stati distrutti; dove sono i disegni che Horacio de Sosa, l’amico pittore argentino, vedeva con regolarità nei due atelier di Bacon, Parigi e Londra; dove sono i disegni che l’amico giornalista – scrittore Daniel Farson sa che sono in circolazione; dove sono i disegni che lo scultore Alberto Giacometti di ritorno da una visita allo studio di Bacon a Londra, scrive ad un amico di non amare particolarmente la pittura di Francis, ma di apprezzarne i disegni.
E… soprattutto dove sono “i due bei ritratti ” del poeta Stephen Spender, donati e “disegnati a matita da Francis Bacon” che la giornalista scrittrice Gaia Servadio, frequentatrice della stessa famiglia Spender, cita in occasione della morte del poeta nell’articolo pubblicato alla pag. 25 del quotidiano italiano “Corriere della Sera” il 18 luglio 1995. Sempre la Servadio sottolinea come questi disegni di Bacon fossero “in buona compagnia” con altri doni di amici artisti, come i paesaggi di Vanessa Bell (sorella di Virginia Woolf), come i bronzi di Henry Moore.
Se il disegno resta un’aspirazione per molti artisti, di qualunque epoca e a qualsiasi corrente artistica appartengano, non vediamo perché non doveva essere così per Bacon, anche perché questo desiderio lo si coglie in continuazione nelle tante interviste ove cita con vogliosa ammirazione – se non addirittura con invidia – i disegni di Giacometti, di Rembrandt, di Degas, di Ingres, di Picasso, di Michelangelo.
Mi pare quindi più che ragionevole pensare che anche il disegnare potesse essere un’aspirazione di Bacon su cui probabilmente recepiva dei limiti tanto che lo avevano portato a scegliere il medium dei colori ad olio, facilitandogli fluidità e imprevedibilità. Per cui può avere un senso la frase “la mia pittura è molto disegnata” permettendogli il colore ad olio sia una diretta ed essenziale progettualità disegnativa, sia una gestione dei particolari somatici nei ritratti, a cui però doveva seguire la loro fase deformativa, per non smentire il proprio bagaglio teorico.
Infatti il talento di Francis Bacon si è trasformato in genialità nel momento in cui ha costruito un’estetica pittorica personalissima, inimitabile e soprattutto antiillustrativa, non astratta, deformata, ma nel contempo dotata di forte impatto figurativo, aprendo così una “terza via” espressiva alla pittura contemporanea.
Bacon è stato generoso d’informazioni sul suo approccio artistico e ha certamente chiarito quali potevano essere gli spazi della sua creatività, ma ha mantenuto anche zone d’ombra, tra cui quella riferibile al disegno.
Spingersi lontano dai reali tratti somatici del personaggio è stato l’impegno costante di Bacon, ma siccome il nostro agire non può mai essere lontano da noi stessi e lo era, nolente o volente anche per il Nostro, qualche lapsus pictoris è sfuggito, svelando modalità esecutive che Bacon avrebbe voluto nascondere, ritenendo che dal suo atelier doveva uscire solo il massimo esigito dal proprio apparato teorico costruito in anni di gavetta e poi di lavoro.
Si pensi dunque al percorso formativo sul disegnare di Bacon nel tempo.
Nell’autoritratto a pastello – quindi disegno – degli anni ’30 la tecnica è da puro autodidatta, con un risultato formale, convenzionale, quasi accademico, anche con scadente capacità nello spandimento del colore per l’assenza di modulazioni chiaroscurali che forniscono un risultato impastato e clownescamente illustrativo.
Il dipinto ad olio e pastello del 1944, “Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion”, che ha sancito una nuova figura d’artista, non è ancora subordinato al deposito e alla stratificazione del colore ad olio perché la deformazione dei soggetti viene fatta da Bacon attraverso l’operazione del disegnare. Qui non c’è la pennellata come “incidente creativo”, o come conseguenza di spostamento del colore.
Nei ritratti-autoritratti ad olio dopo gli anni ’60 l’operazione deformativa tipicamente baconiana dei tratti somatici è ormai onnipresente, seppure con alcune eccezioni, coscienti o involontarie non lo sapremo mai, ma che forniscono un esito formale accademico, quello che Bacon non avrebbe mai voluto. Anzi proprio i volti o parti di essi non deformati sono sottesi ad uno stilema fumettistico in stile realistico, tipico dell’American Super hero e con un esito fortemente illustrativo.
Per quanto riguarda invece l’utilizzo del colore sempre nelle parti non deformate si colgono gli insegnamenti di de Maistre, molte differenziazioni cromatiche calate – se sono stati usati colore ad olio e pennelli- in una texture cruenta e stratificata che hanno il potere di interferire e limitare lo status di decorativismo statico, ma non di cassarlo totalmente.
Certamente Bacon non avrebbe gradito questa associazione dei suoi volti o parti di essi al fumetto, anche se ritengo il fatto oggettivo, tangibile, come se Bacon avesse acquisito per assimilazione un “frame rate” cinematografico del suo tempo.
In effetti adattando un’immagine poco deformata ad un colore mono-tono con l’utilizzo di Photoshop CS6, come se si utilizzasse grafite, o pastello, oppure sanguigna, emerge – seppure in via ipotetica – l’impronta disegnativa baconiana dell’origine, cacciata dalla porta ma poi rientrata dalla finestra, fornendo così un esito disegnativo solo e soltanto illustrativo, quello che Bacon non avrebbe mai voluto.
(figura 4-5)
(figura 6-7).
Un ulteriore enigma baconiano è il “corpus” dato dai cosìdetti disegni “italiani”, dono di Bacon all’amico-amante Cristiano Lovatelli Ravarino:dal punto di vista tecnico ed estetico non contrastano né con la sua biografia, né con il suo impianto teorico. Non si può escludere che proprio i disegni “italiani” costituiscano l’unica via di uscita su cui Bacon ha ripensato e riadattato la sua tecnica pittorica.
I disegni “italiani” infatti sono disegni a tutti gli effetti, né schizzi, né abbozzi, sono antillustrativi, non sono astratti sono fortemente figurativi, tendono alla deformazione ma non sono caricaturali, né attivano uno stile naif e tantomeno fumettistico.
L’utilizzo della tecnica dei “tachistes” decantata da Bacon fin dagli anni 50 è attivissima nei disegni “italiani” di piccolo formato, quasi in forma ossessiva. Vera e propria sintassi grafica costituita da una successione di microtratti incisivi, penetranti, oppure da tracciati lunghi, sovrapposti, filiformi come capelli.
(figura 8)
Frequente nei disegni “italiani” di medio formato l’utilizzo del “collage” che ci riporta al “papiers collées” di memoria picassiana. E’ il gruppo di disegni più numeroso ove la ripetizione quasi in serie di molte immagini non le fa scadere in una ripetizione meccanica come se ciascuna vivesse di vita propria, quindi non imitata bensì sempre pensata.
(figura 9)
I disegni di grande formato, oltre i due metri, si caratterizzano come impronta progettuale compatibile per sculture. Infatti l’indomito settantenne dichiara all’amico Sylvester fin dagli anni sessanta l’ interesse di realizzare sculture, un’ambizione che lo porta a descrivere in dettaglio tecnica e procedura realizzativa, anche se poi concretamente nulla attuerà.
(figura 10)
Unica è la mano di questi disegni “italiani” ove si coglie una personalità non circoscrivibile, con voglie artistiche tese ad uscire da un seminato, quasi una rivalsa nei confronti di una Corte di amici e mecenati che hanno fatto a gara nell’avvolgere il loro Signore con il detto e il non detto; di un mercante, la Marloboruygh Gallery, che ha sempre affermato con forza che Bacon non faceva disegni e, se mai ne avesse fatti, sicuramente li distruggeva.
Facciamoci quindi una ragione sulla materializzazione di questo consistente “corpus” di disegni “italiani” che l’amico-amante italiano Cristiano Lovatelli Ravarino ha avuto in dono da Francis Bacon negli ultimi quindici anni di vita dell’artista.
AMBRA DRAGHETTI (Grafologa)
Figg. 1-2-3 – da Tate Gallery e da The Barry Joule Archive – Irish Museum of Modern Art -Anno 2000
Figg. 4-5 – Two studies for Portait of Richard Chopping 1978 – da Bacon Portaits and Self-Portatits Milan Kundera – France Borel – Thames And Hudson -1996
Figg. 6-7 – Portrait di Jacques Dipin 1990 – da Bacon Portaits and Self-Portatits Milan Kundera – France Borel – Thames And Hudson -1996
Figg. 8 – Disegni di proprietà del Sig. Cristiano Lovateli Ravarino e presentati nel 1981 (Bacon vivente) alla mostra “Francis Bacon” – Galleria d’arte Nanni – Bologna
Figg. 9 – 10- da Work on paper – A Catalogue of the Drawings by the Artist Donated to Cristiano Lovatelli Ravarino – FBC -The Francis Bacon Collection of the drawings donated to Cristiano Lovatelli Ravarino.