1 Marzo 2015 – SCENA ILLUSTRATA WEB

FRANCIS BACON. I Disegni “italiani”: un punto fermo (Etgraphiae, febbraio 2015)

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Sono ormai diversi anni che Maria Letizia Paoletti combatte la sua battaglia per un motivo che potrebbe sembrare scontato ed opportuno, ed invece nonostante tutto non lo è ancora, o quanto meno non lo è per tutti, ma di cui è assolutamente convinta: cioè che per analizzare a fondo un’opera d’arte si debbano considerare oltre ai metodi tradizionali e sempre irrinunciabili delle verifiche stilistiche, della ricerca documentaria e dell’analisi storico-contestuale, anche l’utilizzo di strumentazioni fornite dalla nuova tecnologia diagnostica.

Applicata ai dipinti antichi, di cui in particolare la Paoletti è una attenta studiosa, instradata, se si può dire, in questo campo dalla frequentazione con uno degli esperti più apprezzati e non dimenticato, quale fu sir Denis Mahon, questa pratica consente in effetti di far venire alla luce quelle proprietà fisiche e chimiche tipiche di un certo periodo e di un tal artista, altrimenti invisibili ad occhio nudo, e che di sicuro possono agevolare la collocazione e l’attribuzione di un’opera.

Allo stesso modo, per l’arte contemporanea, pur a fronte ovviamente di un iter di ricerca certo differente, un’identica impostazione metodologica non potrebbe che portare a risultati consoni, anche qui in grado di dirimere questioni all’apparenza insolubili e molto spesso causa di divisioni e contrasti. Sempre che, naturalmente, la soluzione debba davvero dipendere da giudizi scientifici e non da meri interessi mercantili, come a volte invece bisogna registrare.

E’ il caso della controversa questione dei disegni “italiani” di Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992), che Maria Letizia Paoletti affronta in un agile quanto convincente contributo, da poco pubblicato per i tipi della etGraphie, la giovane casa editrice di Foligno, recentemente segnalatasi per altre pubblicazioni d’arte di notevole richiamo.

Già nella Prefazione, una nota critica d’arte e curatrice di mostre di prestigio come Serena Baccaglini, fa rilevare proprio come la Diagnostica dei Beni Culturali “potrebbe essere un potenziale strategico per diversi settori di ricerca in sinergia con gli studi storico artistici” e “potrebbe portare l’Italia ad essere uno dei laboratori d’eccellenza dedicati all’arte e alla cultura unendo competenze e professionalità diverse”.

Si sa che da tempo proprio la Paoletti è impegnata su questo terreno, ma qualche volta capita che intervengano fattori che prendono il sopravvento rispetto alla qualità e alla verità dei fatti, pur affermati grazie alla scienza all’arte e perfino al buon senso, e questi fattori si chiamano interesse di mercato e ruolo di Fondazioni che “ad attività di ricerca, di valorizzazione dell’artista antepongono un mero interesse economico”.

Quanto accade con i “disegni italiani” di Francis Bacon trasformatosi in un autentico “affair” come dice la studiosa nel primo capitolo del suo libro, è estremamente significativo, e non a caso la vicenda si trascina da molto tempo e ha conosciuto anche risvolti giudiziari.

In breve: dopo la scomparsa del grande artista irlandese, la Galleria della città di Dublino (Dublin City Gallery) rileva i diritti sulla tutela e sulla promozione delle sue opere insieme alla Francis Bacon Estate di Londra, così che la città di elezione di Bacon, appunto Londra, e la città natale, Dublino, ora gestiscono equamente insieme questo grande patrimonio, a loro parere del tutto completo. Si sa però che Bacon fece numerosi viaggi in Italia durante i quali avrebbe lasciato nelle mani dell’amico Cristiano Lovatelli Ravarino (si dice anche che ne fosse l’amante) una serie di disegni che però le due istituzioni britanniche hanno sempre rifiutato di prendere in considerazione, cercando anzi a suo tempo addirittura di farli dichiarare falsi.

Di qui l’avvio di un procedimento penale iniziato nel 1997 e conclusosi nel 2004, dal quale sono usciti perdenti proprio i querelanti britannici, giusto in forza dell’utilizzo dei supporti diagnostici; di fatto come sottolinea la Paoletti “in base alla perizia grafologica richiesta, le firme sui disegni risultavano in massima parte autentiche. Perizia grafologica che poi si è estesa su tutte le 165 opere di proprietà Lovatelli Ravarino”. Ma ciò nonostante le due istituzioni ufficiali non hanno ritenuto di dover prendere atto della sentenza che se ha consentito la restituzione di quanto era stato posto sotto sequestro, tuttavia non ha comportato la ridefinizione del catalogo delle opere del pittore.

Addirittura, quando si sarebbe trattato di definire in via risolutiva tutta la vicenda, riportandola nell’ambito più consono del dibattito e dell’approfondimento fra esperti d’arte, con un Forum organizzato dal Courtald Institute a Londra nel 2011, sul tema The Challangers of Autentication: Francis Bacon, all’improvviso si è soprasseduto con la speciosa considerazione che “la questione dei processi di autenticazione dei disegni Bacon-Ravarino avrebbe potuto portare ad azioni legali”. Da allora di conseguenza su tutta la vicenda è sceso il silenzio.

Silenzio che però Maria Letizia Paoletti cerca ora di rompere con questa pubblicazione, di cui si apprezza soprattutto la competenza con cui l’autrice penetra dentro i contenuti dell’opera di Bacon, ripercorrendone le modalità compositive. E quindi cominciando col chiarire il senso autentico delle affermazioni del maestro quando asseriva, non senza compiacersene, di “non aver mai fatto schizzi preparatori per i suoi dipinti”. Ad una personalità del genere, in effetti, “non si addice lo schizzo preparatorio di un dipinto”; la studiosa sottolinea con efficacia che nei lavori dell’artista irlandese “non c’è spazio per la meditazione e la disciplina del disegno … le forme sulla tela nascono dalla materia … perché dalla materia nasce la forma e dalla forma nasce l’idea”.

E la stessa cosa, lo stesso identico iter compositivo fondato tutto sulla plasticità (“Bacon è un pittore plastico” sintetizza la Paoletti) rivive nei “disegni italiani”, da considerarsi quindi come creazioni autonome di un genio capace di arrivare a soluzioni formali che prescindono dalla trasposizione pittorica; non si tratta insomma di disegni preparatori di qualche dipinto, non sono schizzi poi trasposti in opere ad olio, bensì lavori che hanno un carattere autonomo, evidentemente concepiti allorquando l’artista, durante i vari soggiorni in Italia, operava con quanto poteva avere più facilmente a portata di mano “non avendo a disposizione né il caotico studio né i pennelli, né i colori”, ma certamente sentendo “dentro di sé l’irrefrenabile necessità di ‘parlare con le mani’ “.

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Si veda ad esempio l’interpretazione del “Ritratto di Innocenzo X”, dove emerge con totale evidenza la forza plastica delle forme, pur su una superficie liscia come è quella di un foglio da disegno, dove “con l’ausilio dei piccoli strumenti geometrici, riesca a scolpire il foglio creando un fantastico effetto di rilievo”.

Ma ancor più impressionante è la forza creativa che traspare, con effetti perfino inquietanti, dai segni che la sua mano sembra aver quasi inciso verrebbe da dire, in quelli che apparentemente sarebbero “punti nascosti” (fig 8,9) ma dove in realtà, a ben vedere, non è difficile rendersi conto dei rilievi impressi da segni precedenti, indubbio indizio di originalità e paternità.

Difficile non restare colpiti dalle deformazioni dei volti che Bacon opera e che certamente deve aver mutuato dalla tradizione della pittura italiana, da Leonardo, da Annibale Carracci, da Guercino; laddove però per l’artista britannico la chiave interpretativa non è più tanto di tipo scientifico (Leonardo) o grottesco (Carracci) o ironico-didattico (Guercino) bensì “definitivamente tragica”.

E quando il critico londinese David Sylvester (che venne premiato alla biennale di Venezia del ’93 per aver curato l’esposizione delle opere di Bacon) gli chiedeva i motivi per cui lui, un ateo, avesse dipinto soggetti religiosi, come ad esempio Innocenzo X, Bacon rispondeva che in realtà la religione non c’entrava nulla, in realtà era ossessionato dal ritratto di Velasquez dei “magnifici colori della sua pittura”. Un’ossessione tutta interiore : Bacon infatti non vide mai dal vero il capolavoro di Velasquez !

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Pietro di Loreto Scena Illustrata Web